Quando arriva Maggio, la cosa più bella è sentire salire l’aria che annuncia l’estate.
Il momento dell’anno preferito per tutti i ragazzini perché non si va più a scuola, i pomeriggi sono lunghissimi per l’attardarsi del tramonto e si può andare a dormire un po’ più tardi.
D’estate per me i giorni non passavano mai, stavo ore ed ore, giornate intere seduto sopra il muretto del porticciolo a guardare il mare. Ogni tanto passava una nave a interrompere quella illusoria monotonia.
“Lorenzo! Ma che fai?! Stai a fissarlo tutto il giorno ma il mare non cambia mai! Vien’ via un po’!” mi sgridavano ogni tanto gli anziani del paese, seduti al tavolino del bar, tra una briscola e un bicchiere di vino rosso.
Loro non sapevano una cosa fondamentale del mare: lui cambia sempre, un momento prima non è mai uguale a un momento dopo.
Mentre i miei amici giocavano a pallone sulla piazza della chiesa e poi andavano alla fontana a cercare tregua dall’afa e dalla calura estive, io avevo inventato un gioco tutto mio: contare quante vele ero in grado si scorgere all’orizzonte. Tenevo anche un taccuino in cui segnavo i risultati di ogni giornata così trascorsa.
Ero rimasto affascinato dalle storie di marinai da quando la maestra a scuola ci portò alla biblioteca a scegliere un libro di lettura e a me cadde l’occhio su “L’isola del tesoro”. Lo lessi nel giro di tre notti, in Dicembre, poco prima di Natale.
Mi chiedevo da dove provenissero e dove si dirigessero tutte quelle navi immense e quelle meravigliose barche a vela, quali mari avessero solcato prima di approdare nel Mediterraneo e quali storie portassero con loro.
Ero curioso di sapere cosa stessero trasportando: forse tè e spezie come avveniva in tempi lontanissimi, o prodotti esotici fabbricati all’altro capo del mondo, che da porti come Genova o Livorno prendevano poi le vie più interne dell’Europa, che dal calore dei mari del sud giungevano al gelo, ai confini del mar Baltico.
Fissavo il nord. Mi dicevano, in paese, che i miei erano occhi di lince, perché stavo sempre a scrutare l’orizzonte e vedevo cose invisibili ai più… Sognavo l’oltremare, sognavo di andare anch’io un giorno per mare, di solcare gli oceani, di raggiungere paesi lontanissimi e conoscere persone e popoli diversi. Dentro di me sapevo che sarebbe successo.
Però sognavo anche di tornare a casa un giorno, dopo tanto tempo, perché secondo me il vero viaggiatore era chi sapeva tornare. Chi sapeva domare le correnti – che per me erano le strade del mare – e sfruttarle verso la propria destinazione senza esserne passivamente travolti e trasportati.
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